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La COP28 di Dubai si è chiusa con un accordo di portata storica, dopo una notte trascorsa alla ricerca del compromesso che accontentasse tutti i 198 Paesi partecipanti: nel documento finale vengono menzionati per la prima volta i combustibili fossili, anche se nel testo l’espressione “phase out” (eliminazione graduale) è stata sostituita con la più cauta “transition away” (transizione da).

Per gli Emirati, che hanno scritto la propria storia infrangendo un record dopo l’altro, trasformando il deserto in metropoli, ottenere un testo che strappasse l’unanimità era un punto d’onore, anche a costo di tenere i delegati a lavorare per tutta la notte. In questo senso la COP28 di Dubai ottiene un risultato storico, così come voleva il Paese ospitante.

Ora però bisogna passare dalle parole ai fatti: non c’è più tempo, la crisi climatica non aspetta i cicli della politica. Non basta l’accordo ufficiale raggiunto il primo giorno sui dettagli operativi del Loss and Damage Fund, le compensazioni per i Paesi più colpiti dagli eventi climatici estremi, che pagano il prezzo più alto di un’economia basata su un modello che ha messo in crisi l’equilibrio del nostro ecosistema.

Occorre investire nelle energie rinnovabili, imprimere un’accelerazione alla dismissione dei combustibili fossili con un calendario coerente con il limite di 1,5 gradi centigradi di riscaldamento globale del Pianeta e il raggiungimento di emissioni nette zero entro il 2050.

L’Italia è il quinto esportatore al mondo di tecnologie ambientali all’avanguardia, tra componentistica e soluzioni, e potrebbe svolgere un ruolo determinante nel disegnare un futuro sostenibile su scala globale. Ma se non agiamo subito, l’alternativa è la fine della biodiversità, del mondo così come lo conosciamo oggi, in gioco ci sono milioni di vite umane.

Saremo capaci di imprimere una svolta decisiva alla transizione ecologica salvaguardando il Pianeta?

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